Manovra 2026, stop alle misure su pensioni e Tfr: salta il pacchetto previdenziale

di Redazione Lavoratorio.it - Pubblicato il 19/12/2025

Una conferenza stampa dopo un Cdm sulla manovra 2026 (repertorio)

Una conferenza stampa dopo un Cdm sulla manovra 2026 (repertorio) - Governo.it

Colpo di scena nella preparazione della Manovra 2026. Dopo l’inasprimento delle regole sulle pensioni anticipate, il governo ha fatto marcia indietro sull’intero pacchetto previdenziale, facendo saltare anche le misure che riguardavano Tfr, riscatti della laurea e finestre di uscita dal lavoro. La decisione è maturata nella notte, al termine di una lunga fase di stallo politico che ha visto contrapposti il Ministero dell’Economia e la Lega. Secondo quanto emerso, l’intesa raggiunta dopo la mezzanotte ha portato al congelamento delle norme presentate solo pochi giorni prima, evitando modifiche che avrebbero avuto un impatto rilevante sulle prospettive pensionistiche di milioni di lavoratori.

IL NODO POLITICO E LO SCONTRO NELLA MAGGIORANZA

Alla base dello stop c’è il braccio di ferro interno alla maggioranza, con la Lega apertamente contraria alle soluzioni ipotizzate dal Ministero dell’Economia. Il dicastero aveva dato un via libera sostanzialmente tacito a un pacchetto di interventi che toccava il Trattamento di fine rapporto, i meccanismi di riscatto dei periodi di studio universitari e l’allungamento delle finestre di accesso alla pensione. La contrarietà del Carroccio ha però bloccato l’operazione, aprendo una fase di stallo che si è risolta solo nelle ultime ore con il ritiro complessivo delle misure previdenziali.

IL RISCHIO EVITATO SU TFR E PENSIONI ANTICIPATE

Lo stop ha evitato quello che, secondo diversi osservatori, sarebbe stato un cambiamento strutturale del sistema previdenziale. Le norme in discussione erano pensate per garantire coperture pari a due miliardi di euro l’anno fino al 2035, attraverso un progressivo allungamento delle finestre di uscita dal lavoro.

Tali risorse sarebbero servite anche a sostenere la canalizzazione del Tfr verso la previdenza complementare, con effetti indiretti sul calcolo contributivo delle pensioni. Il rischio concreto era quello di favorire nuove uscite anticipate, ma a condizioni più penalizzanti, con requisiti fissati a 64 anni di età e 30 anni di contributi a partire dal 2030.

Uno scenario che avrebbe inciso in modo significativo sulle scelte previdenziali future e che, con il dietrofront notturno, è stato momentaneamente accantonato.

LA REAZIONE DELL’OPPOSIZIONE E I PROSSIMI PASSAGGI

Sul fronte politico, non si è fatta attendere la reazione dell’opposizione. Il responsabile economico del Partito Democratico, Antonio Misiani, ha parlato apertamente di una vittoria, salutando positivamente la disponibilità dei Dem a sostenere l’emendamento della Lega che chiedeva la soppressione delle norme sull’allungamento della permanenza al lavoro.

Il dossier previdenziale, tuttavia, non è chiuso. Come confermato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, eventuali nuovi interventi su pensioni e Tfr potrebbero tornare sul tavolo già dalla prossima settimana, riaprendo un confronto che resta politicamente delicato e finanziariamente complesso.

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