Pensioni, per i giovani il traguardo si allontana sempre di più

di Redazione Lavoratorio.it - Pubblicato il 24/09/2025

Pensioni, per i giovani il traguardo si allontana sempre di più

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Il tema delle pensioni continua a preoccupare soprattutto le generazioni più giovani, che rischiano di rimanere al lavoro ben oltre l’età attuale di uscita. Se negli anni ’80 e ’90 era ancora possibile lasciare intorno ai 50 anni, oggi lo scenario è radicalmente diverso: secondo i dati Inps, l’età effettiva di pensionamento si aggira attorno ai 64 anni, ma le prospettive future parlano di un ulteriore slittamento.

Alla base di questo andamento ci sono due fattori principali: da un lato l’adeguamento automatico dei requisiti alla speranza di vita, dall’altro la soglia economica minima prevista per chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 1996. Entrambi elementi che finiscono per penalizzare i più giovani, costretti a rimandare la fine della carriera anche oltre i 70 anni.

PERCHÉ L’ETÀ SI ALZA SEMPRE DI PIÙ

Il meccanismo introdotto dalla legge Fornero lega i requisiti anagrafici all’andamento della speranza di vita calcolata dall’Istat. Ogni due anni, se l’aspettativa aumenta, cresce anche il periodo in cui viene erogata la pensione e, di conseguenza, i costi per il sistema. Per compensare, la normativa prevede un progressivo innalzamento dell’età di uscita.

Dopo un lungo blocco dovuto alla pandemia, dal 2027 gli adeguamenti torneranno a essere applicati. Secondo le stime, già nel biennio 2027-2028 l’età pensionabile potrebbe salire di circa 3 mesi, e da lì in avanti l’aumento proseguirà con gradualità. I nati negli anni ’80 rischiano così di andare in pensione non prima dei 69 anni, mentre per chi è nato negli anni ’90 il traguardo si sposta oltre i 70 anni. Ancora peggiore lo scenario per i nati dal 2000 in poi, che potrebbero dover attendere anche i 71-72 anni.

IL PROBLEMA DEI CONTRIBUTIVI PURI

Se l’adeguamento automatico rappresenta un ostacolo, lo è ancora di più la soglia economica prevista per chi è nel sistema contributivo puro, ossia chi ha iniziato a lavorare dopo il 1° gennaio 1996. Per questi lavoratori non è sufficiente aver maturato 20 anni di contributi: al momento del pensionamento a 67 anni, l’assegno deve essere almeno pari all’Assegno sociale, che nel 2025 vale 538,69 euro al mese.

Tradotto in pratica, servono circa 124.600 euro di montante contributivo, corrispondenti a una retribuzione media di circa 18.900 euro lordi annui (poco meno di 1.000 euro netti al mese). Per gli autonomi iscritti alla Gestione separata la soglia è ancora più alta: quasi 25.000 euro lordi annui.

Chi non raggiunge questi importi non può accedere alla pensione a 67 anni e deve attendere il requisito della vecchiaia contributiva, oggi fissato a 71 anni. Ma anche questo limite è soggetto agli adeguamenti con la speranza di vita: per i nati negli anni 2000, infatti, il traguardo potrebbe spostarsi addirittura a 75 anni.

UN FUTURO INCERTO PER I GIOVANI

Il quadro che emerge è chiaro: i lavoratori più giovani, soprattutto quelli con carriere discontinue, salari bassi o contratti precari, saranno i più penalizzati. Se da un lato la vita media si allunga, dall’altro una parte crescente di questo tempo dovrà essere spesa continuando a lavorare, in un equilibrio sempre più difficile tra sostenibilità del sistema previdenziale e prospettive individuali.

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